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La lettura della  Storia dell'Augusta Badia di Nonantola del Tiraboschi ([1]) procura sempre qualche emozione ad un cultore di storia locale che vi ritrova i nomi dei luoghi famigliari immersi in un'atmosfera di «indefinito e vago» leopardianamente inteso: «L'antico non è eterno, e quindi non è infinito, ma il concepire che fa l'anima di uno spazio di molti secoli, produce una sensazione indefinita, l'idea di un tempo indeterminato, dove l'anima si perde ...» (Leopardi, ZIB., 1429).

Le pievi, i boschi, le peciae di terra arativa, arborata e prativa che vengono citate negli atti notarili, usciti da quei documenti intessuti di arido formulario giuridico si dispongono a formare un paesaggio che suona «vagamente» famigliare; nel III capitolo, «Delle chiese di Crevalcore e del Secco e de' beni che ivi aveva il monastero», sono ricordate antiche pievi di cui ora non esiste che qualche labile traccia documentaria, come S. Martino de Sicco (che darà il nome alla località Sammartini), S. Maria de Alisino, S. Maria del Porto, S. Giovanni in Crevalcore vecchio, S. Martino in Cozzano, e di cui è a volte difficile perfino indicare l'ubicazione approssimativa.

Da una di tali pievi medievali scomparse proviene con ogni probabilità l'oggetto più antico di tutto il patrimonio artistico della zona crevalcorese: si tratta di un rarissimo esemplare di oreficeria medioevale, una croce romanica in bronzo dorato che un recente studio di Regine Marth fa risalire alla prima metà del XII secolo ([2]). Essa appartiene a un gruppo di croci toscane che la studiosa tedesca classifica come Gruppo II, avente il suo punto di maggior concentrazione nella provincia di Arezzo. Nonostante si tratti di un oggetto liturgico abbastanza diffuso nel Medioevo, non è facile spiegarne la presenza in un luogo così distante dalla zona di provenienza: risulta infatti la croce del Gruppo II di localizzazione più settentrionale al di fuori di quelle conservate nei musei.

 

Fino a una ventina di anni fa questa croce, in lega bronzea particolarmente ricca di rame, il cui colore traspare nei punti dove la doratura è consunta, era suppellettile di normale uso liturgico. Sul recto recava un Cristo tardocinquecentesco ed un cartiglio della stessa epoca, ciò che stornava l'attenzione dalla croce vera e propria, considerata alla stregua di mero supporto ([3]).

Ad un corretto inquadramento si può dire si sia giunti per tappe:  si pensò dapprima a un manufatto di arte mosana del XIII secolo (in linea con l'opinione di Geza de Francovich e Ferdinando Bologna i quali consideravano tali croci dipendenti dall'arte tedesca); soltanto di recente essa è stata inserita nella giusta prospettiva storica dal saggio di Regine Marth.

La studiosa raggruppa le circa 60 croci bronzee italiane superstiti (con l'eccezione di pochi esemplari refrattari alla classificazione), in due gruppi: il più numeroso (Gruppo I), rappresentato da 40 croci, ha il suo punto di massima concentrazione nella provincia di Firenze, mentre l'altro gruppo (Gruppo II), che comprende 16 croci, si concentra per la maggior parte in territorio aretino. I due gruppi presentano caratteristiche iconografiche e stilistiche peculiari: modellato più morbido e sfumato il Gruppo I, che ha la particolarità di rappresentare una doppia crocifissione; Crocifisso scultoreo vivente sul recto e Cristo morto attorniato dai simboli degli evangelisti sul verso, mentre nel Gruppo II le figure sono tracciate con incisioni più marcate e sono risparmiate nella bulinatura; sul recto, dall'alto, scende un angelo turiferario e sul verso i simboli degli evangelisti, attornianti il Pantocratore o l'agnello mistico, escono da nubi stilizzate. Sono tratti che presuppongono una diversa tradizione artigianale e iconografica.

croce mosana 2
 croce mosana verso2      La croce di Crevalcore è priva del Cristo originario che doveva essere un Cristo vivente analogo a quello dell'Accademia etrusca di Cortona, ancora conservato, e di altri crocifissi sia del Gruppo I che del Gruppo II.Sul recto, alle estremità dei bracci laterali, vi sono la Madonna e S. Giovanni in atteggiamento dolente, mentre un angelo turiferario (l'arcangelo Michele ?) scende verticalmente dalle nubi nell'estremità superiore. Tutte le figure sono incise con solchi marcati e risparmiate nella bulinatura, come pure la cornice-nimbo a losanga con angoli terminanti a tralci vegetali all'incrocio dei bracci, tralci che, stando alla simbologia medioevale, significano la vita.Una cornice fissata con chiodi bronzei contorna i bordi, come in tutte le croci del Gruppo II; alcuni tratti di tale cornice sono stati sostituiti in epoca imprecisata con elementi marcatamente più rozzi.La parte posteriore, libera da elementi fissati con chiodi, ha una decorazione più articolata e presenta l'aspetto tipico delle croci del Gruppo II: all'incrocio dei bracci il Cristo Pantocratore, Cristo trionfante, come contrappunto al Cristo sofferente dell'altro lato, si libra nell'Empireo (intorno al cerchio-mandorla vi sono alcune rosette che significano stelle) ed è attorniato dai simboli dei quattro evangelisti uscenti da nubi stilizzate. La croce, da strumento di martirio si è trasformata nel «segno» del mondo, in una rappresentazione del cosmo.
 Occorre osservare che è piuttosto raro il ritrovamento in una parrocchiale di paese di un manufatto così antico;  se ne accennava alla possibile origine da una delle pievi medioevali scomparse, le cui suppellettili liturgiche, come accadde per Abrenunzio e per S. Maria dei Battuti, siano state trasferite nella parrocchiale di S. Silvestro.A questo proposito potrebbe essere presa in considerazione la pieve di S. Martino in Cozzano che godette, anche prima dell'anno Mille, di un certo prestigio e che era fornita di un discreto patrimonio immobiliare. ([4]).Essa si trovava su una importante strada antica che congiungeva Modena e Ferrara passando per Nonantola, tutte località queste, oltre ad Arezzo, terra di origine del manufatto, che facevano parte dei domini di Matilde di Canossa ([5]). L'ipotesi ha poche possibilità di essere verificata, ma è indubbiamente assai suggestiva e non senza conseguenze anche su una possibile datazione dell'oggetto che, se fosse possibile considerarlo un dono di Matilde, andrebbe collocato in un'epoca anteriore al 1115.La presenza del Pantocratore al posto dell'agnello mistico costituisce un indizio di datazione alta? E' un problema che soltanto la confluenza di ricerche iconografiche e teologiche potrebbe in futuro avviare a soluzione.   particolare croce
     
 

[1] G. TIRABOSCHI, Storia dell'Augusta Badia di S.Silvestro di Nonantola, II, Modena 1784, p. 247-264.

[2] REGINE MARTH, Überlegungen zu den romanischen Bronzekreuzen um Florenz und Arezzo, in  Festschrift für Peter Bloch, Mainz am Rhein 1990, pp. 65-76. Un doveroso ringraziamento va a Cristina Luppi per la traduzione dell'articolo.

[3] Spetta a Carlo Zucchini il merito di aver segnalato la presenza della croce al Victoria and Albert Museum di Londra provocando l'interessamento di Regine Marth, che si stava occupando dell'argomento

[4] G. TIRABOSCHI, Storia dell'Augusta Badia, II, cit.,  p. 248.

[5]  Si tratta della via Emilia Altinate che congiungeva Modena ad Altinum passando per Ferrara e Padova. La strada passava per Vicus Serninus, località ancora non identificata ma che si trovava quasi certamente nell'attuale territorio crevalcorese. Sull'argomento cfr.:  M. CALZOLARI, La pianura modenese nell'età romana. Ricerche di topografia e toponomastica, Modena 1981, pp. 75-76, 135; IDEM, Per una lettura del territorio: le persistenze romane nella pianura modenese, in Mirandola e le terre del basso corso del Secchia. Atti del convegno, I, Modena 1984, pp. 142-143.

 
Paolo Cassoli, Una croce romanica in bronzo dorato a Crevalcore, pubblicato in Strada Maestra. Quaderni della Biblioteca comunale Cesare Croce di S. Giovanni in Persiceto, n. 33, 2° semestre 1992  
   
   

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