I dipinti della Rotonda
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Nicola Bertuzzi (Ancona ca. 1710 - Bologna 1777) è uno dei pittori con cui i Caprara intrattengono, verso la metà del XVIII secolo, rapporti privilegiati di committenza. Per la chiesa di S. Matteo dei Ronchi e l’oratorio della Rotonda eseguì ben sedici tele che costituiscono un nuovo importante gruppo di opere che arricchisce ulteriormente il già folto catalogo dell’artista. I dipinti della Rotonda sono particolarmente interessanti perché assai più legati di quelli dei Ronchi alla destinazione e al carattere dell’edificio sacro, anzi, si direbbero pensate con l’edificio stesso, totalmente immerse come sono nel clima dell’oratorio, create per essere poste in quegli spazi, per entrare in quelle misure. Inoltre formano un ciclo pittorico unitario dalle calcolate corrispondenze con gli altri elementi decorativi. Si tratta di otto tele di cui una, la pala d’altare, grande, di forma rettangolare, e sette piccole, ovali, eseguite nel periodo 1767-68; ne danno esatta testimonianza gli appunti manoscritti di Serafino Calindri che visitò l’oratorio a poca distanza dalla sua erezione 1. |
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Cinque tele raffigurano i momenti della vita della Vergine e sono quelle in maggiore evidenza, mentre le altre tre, che rappresentano quattro santi si trovano in posizione seminascosta rispettivamente due ai lati dell’altare (S. Martino e S. Francesco d’Assisi) e uno sulla porta d’ingresso (S. Francesco di Paola e S. Luigi Gonzaga adoranti il Sacro Cuore). La pala d’altare rappresenta la Nascita di Maria, la cui festività ricorre l’8 settembre e alla quale è dedicato l’oratorio. Gli altri quattro ovali rappresentano i principali momenti della liturgia mariana, rispettivamente: la Presentazione al tempio (o Purificazione), l’Annunciazione, l’ Immacolata Concezione e l’Assunzione. La vita della Vergine risulta pertanto compendiata in cinque momenti essenziali, isolati, quasi, in maniera araldica, con un procedimento assai diverso dal modo narrativo usato per lo stesso tema dall’anonimo pittore tardocinquecentesco del fregio dell’Oratorio della Pietà in Crevalcore. Qui la vita di Maria è raccontata in ben quindici riquadri (sedici in origine) in cui l’essenziale è pausato e scandito dall’aneddotico in modo tale che la narrazione si dipana pacatamente con una certa colorita prolissità in scene di identico rilievo. Nel ciclo della Rotonda la narrazione è bandita; Annunciazione, Immacolata, Assunzione sono quasi soltanto formule ornamentali campeggianti sul sontuoso parato di damasco che decora le pareti. Ma le figurine sono piene di una grazie affabile, poco lontana da quella delle pastorellerie dello Zuccarelli, dello Zais o del Cimaroli.
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Pala d'altare con la nascita della Vergine | |||
La Nascita della Vergine permette al pittore lo sfoggio di una più sciolta vena descrittiva: è quasi una scenetta domestica; mentre la Sant’Anna e il S. Gioacchino, rispettivamente a sinistra e a destra, entrambi con lo sguardo rivolto all’angelo che, elegante rappresentante della grazia divina, si esibisce in manierate evoluzioni tra uno svolazzare di drappi, tendono a scomparire nell’ombra del secondo piano, il gruppo con la Madonna infante emerge in una soffusa luce dorata.
Il gruppo è composto da due servette, sulla sinistra, recanti oggetti che alludono alle prime cure prestate a un neonato, due oranti inginocchiate sulla destra e, al centro, con la bimba in grembo, una balia. E’ proprio la figura della balia ad avere il maggior rilievo in quanto centro ottico della composizione: un personaggio anonimo attento al proprio compito con l’amorevole cura richiesta da ciò che è fragile e prezioso, tra gli sguardi di benevola curiosità delle altre figure femminili. Le braccia aperte della Madonna bambina, tese tra le oranti e la balia, chiudono il semicerchio delle figure immerse in questa atmosfera di recitativo amabile. Particolarmente suggestivi sono alcuni rimandi che riflettono la scena della Natività all’intemo dell’oratorio: la predella sulla quale si trovano i personaggi è in tutto simile alla predella reale dell’altare e lo spazio pittorico viene suggerito come spazio curvo a imitazione dell’ambiente reale. Le figure dipinte risultano così trasferite come per un gioco di specchi nello spazio vero, mentre un altro gioco di specchi, allusivamente e sottilmente ambiguo, a livello dei significati, fa sì che la Madonna, simbolo stesso della maternità, rifletta l’immagine della nascita del figlio. Lo schema compositivo è tutt'altro che chiuso e bloccato; una linea sinuosa scende dall'angolo in alto a destra fino alla servetta di sinistra interrompendosi e, a tratti, perdendosi come una svagata melodia intersecata da un’altra linea curva che congiunge la Sant’Anna alle oranti. La poetica del Bertuzzi è in questa sorridente armonia, in questa grazia che permea le misurate figurette e nella flessuosità neomanieristica della linea che le muove. |
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Presentazione al tempio | Annunciazione | Immacolata Concezione | Assunzione |
ell’Assunzione lo schema compositivo spiraliforme, generato dalle asimmetrie di positura degli angeli e della Vergine, assume addirittura la funzione di significante principale in quanto imprime al gruppo un andamento ascensionale. A tratti tuttavia, l’indulgere del pittore alla poetica della grazia sembra eccessivo, come nell’ovato del S. Martino, dove piega l’incedere del cavallo a un atteggiamento lezioso e bamboleggiante e trasforma il santo in una figuretta da melodramma. Tali misura e grazia vengono al Bertuzzi direttamente dalla lezione di Vittorio Bigari, suo maestro nell’Accademia Clementina. Da lui l’Anconitano mutua la tipologia dei personaggi che sarà soggetta a pochissime variazioni in tutto l’arco dell’attività dell’artista. Si veda ad esempio come l’angelo della Natività sia pressoché identico all’angelo che caccia Adamo ed Eva dal paradiso terrestre in un disegno dell’Accademia Clementina datato 1734 (quasi 35 anni prima del dipinto della Rotonda!) che gli valse il premio di prima classe e che mostra una notevole aderenza ai modi del Bigari 2; o come il gruppo centrale della stessa tela sia stato ripreso da una composizione di identico soggetto proveniente da villa Boschi e ora in collezione Molinari Pradelli 3. Il Bertuzzi in seguito abbandona i contorni esatti e le pieghe a spigoli del Bigari, ma ne conserva la tipologia fisionomica femminile «a volto tondo con occhi piccoli e divaricati, naso appuntito e leggermente volto in su, bocca stretta e corta». |
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Un confronto fra l’immacolata della Rotonda ed un’immacolata del Bigari della collezione Blanc Fossati di Monza 4 risulta assai istruttiva per comprendere in che direzione muova la pittura del Bertuzzi rispetto a quella del suo maestro. L’Immacolata del Bigari è polita e vetrosa; la sua estrema delicatezza è prosciugata e quasi smarrita nel vuoto cielo algente. L’Immacolata del Bertuzzi invece, (e l’atteggiarsi assai simile delle figure acuisce il contrasto) è più concreta, più vicina. Numerosissimi angeli festanti si assiepano in piccolo spazio ed il colore stesso è intriso di presenza, di materia palpitante. Come osserva Ugo Ruggeri, le figurine del Bertuzzi sono colpeggiate a punti vivacissimi di luce e d’ombra con una stesura «grassa e succosa» 5. Renato Roli d’altra parte parla di «verve degna di un veneziano, vicinissima ai modi del Nogari»6. E spesso il Bertuzzi è stato confuso non solo con Giuseppe Nogari ma addirittura con Giambattista Pittoni e Sebastiano Ricci; sempre il Ruggeri ce ne fornisce una persuasiva dimostrazione nel suo saggio intitolato per l’appunto Nicola Bertuzzi ‘Falso veneziano’, in cui suggerisce anche che il carattere venezianeggiante della pittura del Bertuzzi si possa far risalire soprattutto all’influenza di Francesco Monti. Vale la pena di osservare che, benché attratto dalla forza della sua pennellata e del suo colorire, che però riscalda un poco nei toni, il Bertuzzi astrae da quella magniloquenza ancora presente nel Monti alla ricerca di immediatezza e schiettezza; è così che le sue figurette in atteggiamenti umili, tratte dal quotidiano e rese con velocità stenografica, sono parse espressione di una certa vena caricaturale del pittore. Si potrebbe però anche vedere in questa disposizione, che si incarna nello sguardo curiosamente meravigliato della servetta portabende della Natività, nel sorriso affettuoso dell’immacolata o nel patetismo del mendicante tendente le braccia al S. Martino, una misurata iniezione di gusto crespiano. |
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V. Bigari: Immacolata, Monza, coll. Blanc Fossati | |||
Ma quale lettura ci fornisce il Bertuzzi del “vero” crespiano? Il mendicante, sano villico barbuto con una stampella incongrua, non pare affatto l’emblema tragico e nobile di un’umanità diseredata (non dobbiamo dimenticare che, secondo la leggenda, sotto le sue spoglie si cela Cristo) ma soltanto “colore”, in un mondo in cui ogni cosa occupa il posto che le compete senza drammi e senza lacerazioni. La pittura del Bertuzzi insomma, cresce in leggerezza; i quadri della Rotonda in particolare costituiscono un insieme di impareggiabile grazia e levità e si possono considerare fra le cose migliori prodotte a Bologna in quegli anni, degni di stare alla pari con gli esiti più gradevoli del rococò veneziano. |
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1 S. Calindri, Appunti inediti, ms. 321 della Bibl. Comunale di Bologna, p. 217 2 Riprodotto in: G. Zucchini, Il pittore Nicola Bertuzzi detto l’Anconitano (1710-1777), Urbino 1955, tav. XLI. 3 R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignoni ai Gandolfi, Bologna 1977, ill. 260a. 4 Ìbidem, ill. 237d. 5 U. Ruggeri, Nicola Bertuzzi ‘Falso Veneziano’, in Musei Ferraresi, bollettino annuale n. 12, 1982 pp. 115-130. 6 R. Roli, Pittura bolognese..., cit., p. 124. |
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Pubblicato in: Crevalcore: percorsi storici, a cura di M. Abbati, Costa Editore, Bologna 2001 | S. Martino | ||